Karate Kid: Legends – Recensione

Il ritorno della leggenda

Karate Kid: Legends - Recensione

Ottimismo degli Eighties, Ralph Macchio e Jackie Chan, Joshua Jackson co-protagonista del film, colonna sonora che fa muovere la testa: un’operazione nostalgia divertente per novanta minuti di leggerezza che potevamo già gustarci direttamente in streaming.

Karate Kid: Legends – La nostra recensione

Il 13 febbraio del 2025 è terminata, con la sesta stagione, Cobra Kai, la serie che ha permesso a Ralph Macchio e William Zabka di riprendere i panni di Daniel e Johnny, protagonisti del primo Karate Kid, film del 1984.

Nei sette anni di produzione, Cobra Kai – disponibile su Netflix insieme a tutti i film del franchise – è diventata una serie cult. Nonostante le critiche all’ultima stagione della serie, sembra che la voglia di arti marziali non si sia esaurita.

Karate Kid: Legends è il sesto film della saga, che integra nel Miyagi-universe il film del 2010,  inizialmente destinato ad essere un remake. Tra i protagonisti, troviamo, infatti, Mr. Han, interpretato da Jackie Chan, l’istruttore di Kung – Fu di Dre Parker (Jaden Smith) nel precedente film e ora impegnato ad allenare Li Fong, interpretato da Ben Wang.

Ben e la madre si trasferiscono a New York, dopo la tragica morte del fratello di Ben; dopo questo episodio la madre (Ming Na Wen, la Linda May di Agents of S.H.I.E.L.D) chiede a Ben di abbandonare il Kung Fu. A malincuore, il figlio accetta, fino a quando si ritrova ad essere l’allenatore di Victor, pizzaiolo indebitato con dei criminali ed ex pugile. Victor, interpretato da Joshua Jackson (Dawson’s Creek, Fringe), è il padre di Mia, una ragazza di cui si è invaghito Ben. Una serie di circostanze costringeranno Ben a tornare a combattere, ma non basteranno gli insegnamenti di Mr. Hang. Sarà necessario contattare Daniel, il miglior allievo del maestro Miyagi, per rendere Ben ancora più forte, unendo alle tecniche di Kung-Fu anche il Karate. Il bullo del film questa volta è Conor, ex fidanzato di Mia e figlio dello strozzino di Victor.

Insomma, anche i meno fanatici della saga avranno colto un canovaccio molto simile – per non dire uguale – ai precedenti prodotti del franchise. Tuttavia, i 90 minuti del film intrattengono e riescono a parlare ai ragazzi di oggi

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Condivido con molto piacere un episodio: all’anteprima erano presenti alcuni giovani spettatori. Erano entusiasti di seguire le gesta di Ben, con il quale riuscivano ad immedesimarsi. Quindi, l’obiettivo primario del film è raggiunto. Una vicenda semplice, ottimista, dove valori come l’altruismo, il sacrificio, la lotta contro i prepotenti sono trattati ingenuamente, con la sincerità tipica degli 80s

La presenza di Ralph Macchio e Jackie Chan, così come il coinvolgimento di Joshua Jackson nel progetto sono scelte “algoritmiche”, adatte a richiamare i Millenials e la Generazione X per ricordare i bei tempi andati, ma non solo: tutti e tre convincono e divertono.

La regia di Jonathan Entwistle (The End of the F***ing World, I’m not okay with this disponibili su Netflix) non è sempre all’altezza, soprattutto nelle scene di azione. Qualche mese fa abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di vedere nelle nostre sala La Città Proibita, diretto da Gabriele Mainetti, un film clamoroso sotto tanti punti di vista che è anche una masterclass di regia per quanto riguarda le scene d’azione

Mainetti è stato supportato nella direzione e sviluppo delle parti action da Liang Yang, probabilmente il più grande coreografo, stuntman  martial artist attuale. Questo aneddoto per sottolineare come Entwistle avrebbe potuto curare maggiormente la parte più action, tenendo conto che il film ha un budget di circa 45 milioni di dollari (già rientrati) contro i circa 17 milioni del film di Mainetti.

Emergono comunque anche gli elementi più convincenti di Entwistle: la capacità di raccontare storie intergenerazionali e le emozioni dei più giovani, come abbiamo potuto apprezzare nelle sue precedenti produzioni, da lui scritte e dirette.
Ben più interessante è l’utilizzo della tecnica Volume o StageCraft, che prevede l’utilizzo di enormi video wall LED su cui vengono proiettati sfondi 3D realistici in tempo reale grazie all’ Unreal Engine (un motore grafico usato anche nei videogiochi). Le ambientazioni, a differenza del green screen, risultano chiaramente più immersive. Ma come ogni tecnica ha pro e contro: se siete curiosi e nerd, sul web potete trovare filmati e articoli che approfondiscono con  maggior competenza e accuratezza questa tecnica!

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Informazioni su Mauro Orsi 181 Articoli

Lettore compulsivo, appassionato di cinema e musica. Ama le storie: raccontate, vissute, disegnate, cantate, scritte o sognate. Insomma di tutto, un po'(p).

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