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Paranormal Activity: parente prossimo – Recensione

Paranormal Activity: parente prossimo - Recensione

Nel 2007 Paranormal Activity fu una bella rivoluzione nel mondo dell’horror: un’idea semplice quanto geniale, non legata al budget che riuscì a creare tensione e brividi negli appassionati del genere e nel pubblico più generalista. Un successo di critica e di botteghino. Cosa è rimasto al sesto capitolo della saga?

Paranormal Activity: parente prossimo – La nostra recensione

In principio, erano le telecamere, un sistema a circuito chiuso, per controllare che succedeva in casa di notte. Quali oscure presenze si nascondevano nella casa di Micah e Katie? Da questa semplice intuizione di Oman Peli, nasce il fenomeno Paranormal Activity. Come sempre accade ad Hollywood, da una buona idea nasce un franchise, sotto forma di sequel, prequel, spin off e altri inglesismi che ora non rammento. Arrivati al sesto capitolo, Parente Prossimo (titolo originale Next of Kin) contamina gli elementi classici della saga con altri elementi horror e thriller.

In questo episodio la protagonista è Margot, giovane documentarista, alla ricerca di informazioni sulla madre che l’aveva abbandonata in tenera età. Scopre che la madre abitava in una comunità Amish, che la accoglie e permette a lei e ai suoi collaboratori di girare un documentario su questa misteriosa figura materna. Margot capisce presto che la comunità contadina che la ospita ha più di qualche segreto.

Le premesse sono interessanti, a livello di sceneggiatura e di produzione: buona parte del film è girata come se fosse un documentario (come REC e The Blair Witch Project per capirci meglio): la camera mobile, i rumori di sottofondo, i naturali giochi di luce e buio sono i perfetti biglietti da visita per i jump scare degli spettatori. Tuttavia, la sensazione è di aver già visto tutto. I personaggi sono molto caricaturali e lo svolgimento un po’ lento e macchinoso.

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